Le cure sono efficaci solo quando vengono rispettate le prescrizioni del medico. Questo il motto che chiunque con un minimo di raziocinio farebbe proprio, tanto più in occasione della Giornata mondiale per il cuore celebrata il 29 settembre 2022. Ma quanto sono “fedeli” i pazienti alle terapie prescritte dai medici? Guardando ai dati, ancora troppo poco. Nell’ambito della prevenzione cardiovascolare primaria, quella volta a scongiurare eventi come ictus e infarto, solo un paziente su tre assume correttamente i farmaci e, persino in prevenzione secondaria, tra chi ha già avuto un evento, uno su tre disattende le cure. In Europa il 9% degli eventi cardiovascolari sarebbe riconducibile alla scarsa aderenza terapeutica.
A gettare nuova luce su questo problema, fornendo consigli concreti che aiutino gli operatori sanitari a coinvolgere più attivamente i propri assistiti nel raggiungimento dei loro obiettivi di salute, giunge prezioso un documento scientifico di consenso dell’Associazione Europea di Cardiologia Preventiva, pubblicato proprio a ridosso della Giornata Mondiale del Cuore.
Il documento è stato promosso e coordinato dal dottor Roberto Pedretti, Presidente della sezione Prevenzione Secondaria e Riabilitazione dell’Associazione Europea di Cardiologia Preventiva (EAPC) e Direttore del Dipartimento Cardiovascolare del Gruppo MultiMedica.
“La scarsa aderenza alle terapie
e il mancato raggiungimento degli obiettivi di cura hanno conseguenze da non
sottovalutare”, rimarca il professor Pedretti. “Secondo un recente studio
condotto su oltre 85.000 pazienti lombardi ricoverati nei nostri ospedali per
sindrome coronarica acuta, a 5 anni dalla dimissione il 37% ha avuto un secondo
ricovero per patologie cardiovascolari e l’11% è deceduto”.
Partendo da questa situazione, il professore– insieme a colleghi di tutti i
paesi europei, mediante un approfondito studio della letteratura scientifica – ha
stilato una serie di indicazioni pratiche e semplici per aiutare gli operatori
sanitari ad invertire la tendenza. Primo fra tutti, evitare il sovraccarico
informativo al paziente: la comunicazione deve essere semplice, di qualità, il
più possibile demedicalizzata e andare al sodo. Occorre usare tutti i mezzi
possibili per far sì che il paziente abbia una reale comprensione del suo
livello di rischio, ad esempio attraverso mappe che mostrano se ci si trova in
una ‘zona rossa’ e come ci si può ‘mettere in salvo’, aderendo alle terapie e
ai corretti stili di vita. Il paziente deve capire che solo lui può compiere
questo cambiamento: la vera partita contro la malattia si gioca dopo un
eventuale ricovero in ospedale, nella vita di tutti i giorni, con l’impegno e
la costanza nel seguire le cure.
I medici, dal canto loro, devono essere i primi a non cedere all’inerzia: non devono rassegnarsi al mancato raggiungimento dei target terapeutici, rivalutando periodicamente la cura e modificandola se necessario, sempre coinvolgendo attivamente i pazienti.
Le malattie cardiovascolari, viene sottolineato nel documento, rappresentano la prima causa di morte nei Paesi occidentali e hanno una progressione che può essere del tutto asintomatica per lunghi periodi, tanto che a volte vengono scoperte quando sono già a uno stadio avanzato. Per questo, è importante giocare d’anticipo: non solo adottare quelle sane abitudini che permettono di prevenire il problema (alimentazione, attività fisica, astensione dal fumo), ma anche eseguire screening periodici, al fine di individuare precocemente parametri sui quali si può intervenire, per ridurre o eliminare le possibilità di ammalarsi.