Nei pazienti con cardiomiopatia ipertrofica (oggi considerata la più comune malattia cardiovascolare ereditaria), la fibrillazione atriale si associa ad un aumento della mortalità, correlato principalmente ad un maggior rischio di eventi tromboembolici e di un progressivo scompenso cardiaco. Diversi studi sembrano suggerire che l’impiego di farmaci attivi sul sistema renina-angiotensina possa ridurre il rischio di fibrillazione atriale in diversi scenari clinici, ma non ci sono prove chiare in merito ai pazienti con cardiomiopatia ipertrofica. Proprio per valutare se il trattamento con farmaci attivi sul sistema renina-angiotensina, come ACE-inibitori o sartani, è in grado di ridurre il rischio di fibrillazione atriale nella cardiomiopatia ipertrofica, una équipe di ricercatori coordinati da Lian-Yu-Lin, del Dipartimento di Medicina Interna presso il National Taiwan University College of Medicine and Hospital di Taipei, in un loro studio hanno arruolato 18.266 pazienti con cardiomiopatia ipertrofica diagnosticata nel periodo gennaio 1997-dicembre 2013, che non avevano mai ricevuto una diagnosi di fibrillazione atriale, né assunto in precedenza ACE-inibitori o sartani. Il rischio di comparsa della fibrillazione atriale è stato valutato durante un follow-up medio di 8 anni. 9.151 soggetti arruolati (50,1%) sono stati trattati con ACE-inibitori o sartani, mentre 9.115 (49.9%) non hanno ricevuto alcuno dei due trattamenti. I primi avevano un’età media maggiore e una prevalenza più elevata di fattori di rischio cardiovascolare, tra cui ipertensione, diabete e dislipidemia. I pazienti trattati con ACE-inibitori o sartani sono risultati associati a un minor rischio di sviluppare una nuova fibrillazione atriale rispetto a quelli senza assunzione di nessuno di questi farmaci. Tale correlazione è apparsa più evidente con un trattamento più prolungato. Tutto ciò indica che, nei pazienti con cardiomiopatia ipertrofica, il trattamento con ACE-inibitori o sartani riduce il rischio di comparsa di fibrillazione atriale secondo una relazione dose-risposta.
Fonte: Huang CY et al. Heart. Epub ahead of print 2018. doi: 10.1136/heartjnl-2017-312573