I fattori di rischio cardiovascolari maggiori (età, sesso,
familiarità per eventi cardiovascolari in età precoce, fumo,
ipercolesterolemia, ipertensione arteriosa, e diabete mellito) si
associano e determinano l’insorgenza di eventi cardiovascolari quali
l’infarto del miocardio e l’ictus attraverso lo sviluppo
dell’aterosclerosi a livello delle arterie coronariche e
cerebro-afferenti. Alcuni di essi non sono modificabili, come l’età e la
familiarità per eventi cardiovascolari in età precoce, ma rientrano
comunque tra i fattori di rischio perché il loro ruolo causale nello
sviluppo delle malattie cardiovascolari è molto forte. Esistono anche
dei fattori di rischio che si definiscono condizionali (in
particolare sedentarietà ed obesità) poiché, seppur correlati allo
sviluppo di aterosclerosi e quindi di eventi cardiovascolari, sono
sempre associati ad altri fattori di rischio (ipertensione arteriosa,
ipercolesterolemia e diabete mellito). Il rischio cardiovascolare
dipende fortemente dall’interazione dei vari fattori di rischio, per cui
è le linee guida europee per la prevenzione cardiovascolare (1) per
valutare il rischio di mortalità cardiovascolare a 10 anni in un
soggetto che non abbia ancora avuto un evento suggeriscono di utilizzare
uno score basato su età, valori di pressione arteriosa e di
colesterolo, abitudine al fumo, separatamente per uomini e donne. I
soggetti con rischio basso a moderato (SCORE <5%) hanno indicazione a
seguire le misure igienico dietetiche per mantenere il loro profilo di
rischio; i soggetti a rischio elevato (SCORE ≥5% e <10%) devono
seguire strettamente le misure non farmacologiche e sono candidati alla
terapia farmacologica mentre i soggetti a rischio molto elevati (SCORE
≥10%) necessitano di terapia farmacologica per il controllo intensivo
dei singoli fattori di rischio.
I fattori di rischio cardiovascolari maggiori non modificabili
Età, sesso e familiarità per eventi cardiovascolari in età precoce
L’invecchiamento
si associa ad un aumento degli eventi cardiovascolari, in particolare
in presenza degli altri fattori di rischio (1-3). I soggetti di sesso
maschile hanno un rischio più elevato rispetto alle donne in età più
giovanile. Per questo l’età è un elemento importante nella valutazione
del rischio cardiovascolare totale e gli score di rischio considerano
separatamente gli uomini e le donne (1). Anche i soggetti con
familiarità per malattia cardiovascolare prematura nei parenti di primo
grado, prima dei 55 anni per gli uomini e 65 per le donne, hanno un
aumentato rischio cardiovascolare (1,3). La familiarità non è
considerata negli score di rischio ma può indirizzare il clinico verso
un trattamento più intensivo dei fattori di rischio.
I fattori di rischio cardiovascolari modificabili
Il fumo
Il
fumo è un’abitudine voluttuaria letale. Un fumatore ha una probabilità
del 50% di morire a causa del fumo ed in media perde 10 anni di vita
rispetto ad un non fumatore (4). Il fumo è riconosciuto come causa di
molteplici malattie e circa metà della mortalità nei fumatori è causata
da malattie cardiovascolari. Il rischio a 10 anni di morire per malattie
cardiovascolari e circa il doppio rispetto ai non fumatori e
addirittura è 5 volte più alto nei soggetti con età inferiore ai 50
anni. Anche i fumatori modesti hanno un aumento del rischio
cardiovascolare (5). Il fumo determina un danno vascolare diretto che
causa aterosclerosi e può aumentare i valori pressori. Pertanto la
cessazione del fumo è la strategia più efficace in termini di
costo/beneficio nella prevenzione cardiovascolare. Sfortunatamente quasi
il 50% dei fumatori continua a fumare, nonostante i tentativi di
smettere (6). Le campagne di prevenzione per evitare di iniziare a
fumare sono quindi fondamentali. Sebbene la percentuale di fumatori in
Europa stia diminuendo, questa abitudine sta aumentando nelle donne,
negli adolescenti e nelle classi a più elevato disagio sociale.
L’ipercolesterolemia
La dislipidemia ed in particolare l’ipercolesterolemia è cruciale per
lo sviluppo dell’aterosclerosi e degli eventi cardiovascolari. La
maggior parte del colesterolo è veicolato dalle lipoproteine a bassa
densità (LDL). Gli studi osservazionali hanno dimostrato una relazione
diretta tra aumento dei livelli di colesterolo LDL e rischio di malattia
cardiovascolare, sia negli uomini che nelle donne, ed indipendente
dalla presenza o meno di malattia cardiovascolare pre-esistente. Gli
studi clinici hanno dimostrato in modo inequivocabile che la riduzione
del colesterolo LDL riduce il rischio di eventi cardiovascolari (8).
Tutti i pazienti con ipercolesterolemia dovrebbero seguire le norme
igienico- dietetiche (dieta a basso contenuto di colesterolo, attività
fisica) (1,8). I farmaci più efficaci nel ridurre l’LDL colesterolo sono
le statine. I livelli di colesterolo LDL da raggiungere per ridurre il
rischio sono dipendenti dal profilo di rischio cardiovascolare (1).
Anche bassi livelli di colesterolo HDL (< 40 mg/dl negli uomini e
< 45 mg/dl nelle donne) si associano con un aumentato rischio
cardiovascolare. Sebbene cessazione del fumo ed attività fisica
aumentano il colesterolo HDL, non esistono, al momento attuale, evidenze
che l’ aumento del colesterolo HDL riduca il rischio cardiovascolare.
Il diabete mellito
Il
diabete comprende un gruppo di disturbi metabolici caratterizzati da un
aumento patologico dei livelli plasmatici di glicemia (iperglicemia)
(9). Esistono diversi e distinti tipi di diabete, causati da una
complessa interazione di fattori genetici e di stili di vita. I fattori
che contribuiscono all’iperglicemia comprendono, una ridotta secrezione
di insulina, l’ormone secreto dalle cellule ß del pancreas, una ridotta
utilizzazione periferica del glucosio e una aumentata produzione di
glucosio. Nel diabete mellito tipo 1, una condizione tipica, anche se
non esclusiva, dell’età infantile ed adolescenziale, fattori genetici,
ambientali ed immunologici (autoimmunità) portano alla distruzione delle
cellule ß pancreatiche e ad insufficienza insulinica assoluta, per cui è
necessaria una terapia con insulina esogena. Il diabete mellito tipo 2
colpisce per lo più soggetti di età superiore a 30 anni, nei quali
fattori genetici e ambientali (stile di vita, obesità) determino
resistenza all’insulina, ossia una ridotta capacità dell’ormone di agire
efficacemente sui tessuti bersaglio periferici (muscoli scheletrici e
fegato), con minore utilizzo periferico di glucosio e stimolo alla
produzione epatica di glucosio che causano iperglicemia. L’alterazione
metabolica associata al diabete causa modificazioni fisio-patologiche in
molteplici apparati anche attraverso le associate alterazioni del
profilo lipidico ed ipertensione, rappresentando è un’importante causa
di malattie cardiovascolari, renali (insufficienza renale) ed oculari
(cecità). L’approccio terapeutico multifattoriale è fondamentale nel
paziente diabetico, non solo per normalizzare la glicemia, attraverso
norme di comportamento (dieta, attività fisica), farmaci
ipoglicemizzanti orali e quando non queste misure non sono efficaci
anche la somministrazione di insulina esogena, ma anche il profilo
lipidico (è indicato ridurre il colesterolo LDL sotto i 100 mg/dl) e la
pressione arteriosa (valori < 140/90 mmHg) (3,9).
L’ipertensione arteriosa
L’ipertensione
arteriosa è uno dei principali fattori di rischio cardiovascolare per
la sua prevalenza nella popolazione adulta (30-45%), ed aumenta
nell’anziano (3). La relazione tra valori di pressione arteriosa e la
morbilità e la mortalità cardiovascolare è stata dimostrata in un ampio
numero di studi per tutte le età dei pazienti (10). Pertanto, il
trattamento antipertensivo rappresenta una fondamentale misura di
prevenzione delle malattie cardiovascolari (3). Il bersaglio della
terapia con farmaci antipertensivi è quello di ridurre la pressione
arteriosa a livelli inferiori di 140/90 mmHg in tutti i pazienti e al di
sotto di 150/90 mmHg nei pazienti anziani con età maggiore di 80 anni
(3). Anche nel paziente iperteso è importante una corretta valutazione
del rischio cardiovascolare, mediante l’integrazione dei valori di
pressione arteriosa con gli altri fattori di rischio. Tuttavia nel
paziente iperteso la stratificazione del rischio e quindi la strategia
terapeutica si basa anche sulla presenza di danno d’organo asintomatico
(presenza di ipertrofia ventricolare sinistra, riduzione della funzione
renale o microalbuminuria).
Il Trattamento dell’ipertensione arteriosa, sia come Valori Soglia
per iniziare il trattamento che per i valori Target da raggiungere con
la terapia, si modificano in presenza di più fattori di rischio o di
malattie cardio-cerebrovascolari e di insufficienza renale, come ben
evidente dalla tabella 3 che proviene dalle line guida 2018 della
Società Europea dell’Ipertensione.
Lorenzo Ghiadoni
Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università di Pisa
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