L’ipertensione arteriosa, se escludiamo le forme di
ipertensione secondaria o le forme di ipertensione molto grave (la vecchia
ipertensione maligna), non è di per se una patologia, ma deve essere
considerata un fattore di rischio. In questa ottica risulta fondamentale la
valutazione accurata del danno d’organo mediato dall’ ipertensione, ossia le
alterazioni tipiche a carico di cuore, vasi e rene che si sviluppano negli anni
a causa degli elevati valori pressori e che contribuiscono ad aumentare il
rischio cardio vascolare. Infatti il calcolo del rischio cardiovascolare del
paziente iperteso si ottiene considerando la presenza di altri fattori di
rischio, di eventuale danno d’organo (attraverso esami strumentali e di
laboratorio) o di condizioni patologiche associate già clinicamente manifeste
(ictus, infarto, malattia renale cronica). Il danno d’organo mediato
dall’ipertensione aumenta notevolmente la categoria di rischio del paziente
molto di più di un singolo fattore di rischio perché sono segno evidente di
alterazioni patologiche che l’ipertensione ed eventualmente gli altri fattori
di rischio hanno indotto sugli organi bersaglio.
Nei pazienti ipertesi risulta fondamentale eseguire quindi una corretta ricerca
del danno d’organo e delle condizioni associate.
Esami di laboratorio di routine
Nella ricerca del danno d’organo
mediato dall’ipertensione la prima cosa da fare sono semplici esami di routine.
Anche se il work-up diagnostico può essere più esteso nei soggetti giovani e
nei casi d’ipertensione di recente sviluppo, gli esami di laboratorio da
effettuare in prima battuta sono piuttosto limitati e di basso costo.
Esami aggiuntivi da eseguire in base ad anamnesi,
esame obiettivo e risultati degli esami di routine
Un approfondimento con altri test è indicato quando,
in base ai dati clinici, si sospetti un danno d’organo che non è stato rivelato
dalle indagini preliminari o quando si sospetti una natura secondaria
dell’ipertensione. In alcuni pazienti, l’approfondimento della ricerca di segni
di danno d’organo può essere suggerito dal sospetto clinico. In questo caso,
gli elementi che si ricercano potranno essere di supporto per la decisione di
iniziare il trattamento e per la scelta del farmaco.
Nel caso di rilievo di danno d’organo, è opportuno considerare l’esecuzione degli esami non solo in funzione del loro valore predittivo, ma anche della loro disponibilità, riproducibilità e rapporto costo/efficacia.
Alcuni esami infatti sono estremamente validi e poco
costosi, mentre altri risultano esattamente opposti. Considerando l’elevata
prevalenza della ipertensione arteriosa nella popolazione generale il rapporto
costo/efficacia degli accertamenti da eseguire nel paziente iperteso risulta
estremante importante.
Segni di danno d’organo o di condizioni cliniche associate
Cardiopatia Ipertensiva
Il danno d’organo mediato dall’ipertensione a livello cardiaco è
rappresentato dalla presenza di ipertrofia ventricolare sinistra, che è
fortemente associata ad un aumento della morbilità e della mortalità
cardiovascolare.
Un pregresso infarto miocardico, l’angina, l’essere
stato sottoposto ad una procedura di rivascolarizzazione (angioplastica o
by-pass aortocoronarico) o la presenza di scompenso cardiaco costituiscono
invece condizioni cliniche associate che pongono il paziente in
una categoria di rischio elevato o molto elevato.
-Elettrocardiogramma
Nella ricerca del danno d’organo l’elettrocardiogramma deve essere eseguito
di routine del paziente iperteso, perché’ può mettere in evidenza l’eventuale presenza
di difetti di conduzione o di aritmie, di ischemia e di ipertrofia ventricolare
sinistra tramite la positività dei criteri di Sokolow-Lyons (SV1 + RV5oRV6
>38 mm) o di un indice di Cornell modificato (indice di Cornell x durata
QRS) >2440 mm/ms che sono predittori indipendenti di eventi cardiovascolari.
L’elettrocardiogramma rivela anche la presenza di segni di sovraccarico
ventricolare sinistro, che hanno valore predittivo per eventi cardiovascolari.
-Ecocolordoppler cardiaco
L’ecocardiogramma è indubbiamente più sensibile dell’elettrocardiogramma nel rivelare la presenza di ipertrofia ventricolare sinistra e nel predire eventi cardiovascolari. Studi recenti indicano che senza effettuare l’ecocardiogramma e l’ecodoppler carotideo, il 50% dei pazienti ipertesi può essere erroneamente classificato a basso o moderato rischio, laddove la presenza di interessamento cardiaco e/o vascolare pone tale popolazione nel gruppo ad alto rischio. In Europa l’esame è relativamente poco costoso e le strutture in grado di eseguirlo sono diffuse capillarmente sul territorio. Per questi motivi le linee guida Europee raccomandano l’esecuzione di un ecocolordoppler cardiaco in tutti i pazienti ipertesi. Ai fini dell’inquadramento del rischio e quindi della decisione se iniziare o meno il trattamento l’esame può essere più utile nei pazienti con ipertensione lieve rispetto a quelli con ipertensione grave. Infatti è proprio nei pazienti che hanno una ipertensione lieve e che sembrano in una fascia di rischio cardiovascolare globale basso che l’ecocardiogramma può essere più utile perché in questo caso il riscontro della presenza di ipertrofia ventricolare sinistra può fare cambiare l’inquadramento e spingere a iniziare il trattamento farmacologico. Invece i pazienti che presentano valori pressori elevati (o comunque superiori a 140/90 mmHg) anche dopo essere stati sottoposti a modificazioni dello stile di vita, devono comunque essere trattati con terapia medica, indipendentemente dalla presenza di ipertrofia ventricolare sinistra.
-Test ergometrico
Sebbene non sia previsto dai protocolli largamente condivisi per la valutazione di un paziente iperteso può essere raccomandabile anche l’esecuzione di un test ergometrico per la ricerca di una possibile ischemia miocardica e per lo studio dell’andamento dei valori pressori in occasione dell’esercizio fisico. Infatti anche il riscontro di valori pressori elevati (>200 mmHg) isolatamente durante l’esercizio è indice di un aumentato rischio di andare incontro ad un evento cardiovascolare.
Valutazione della funzione renale
Le linee guida prevedono che in tutti i pazienti ipertesi debbano essere eseguite la misura dei livelli di creatinina sierica, la stima del valore della velocita’ di filtrazione glomerulare (VFG) e la misurazione della microalbuminuria come test di routine.
Un lieve aumento della creatinina sierica (o il riscontro di microalbuminuria costituiscono segni di danno d’organo mediato dall’ipertensione.
La presenza di insufficienza renale, proteinuria, malattia renale, o di nefropatia diabetica sono invece considerate condizioni cliniche associate.
Creatinina
Un lieve aumento della creatinina sierica (1,3-1,5 mg/dl negli uomini e 1,2-1,4 mg/dl nelle donne) costituisce già un segno di danno d’organo. Il rischio cardiovascolare aumenta ulteriormente se la creatinina sierica è >1,5 mg/dl negli uomini e >1,4 mg/dl nelle donne. Si deve però ricordare che nell’approccio di I livello al paziente iperteso la misurazione della creatinina sierica permette solo una stima approssimativa della riduzione della funzione glomerulare. Infatti i valori di creatinina devono essere considerati in funzione delle caratteristiche antropometriche e dell’età del soggetto. Una creatinina ai limiti della normalità può già indicare una ridotta funzione renale specie in una persona anziana con ridotte masse muscolari. Per questo motivo è sempre opportuno calcolare la clearance della creatinina (Cl.C) per la stima del valore della velocità di filtrazione glomerulare (VFG) tramite la formula di Cockroft-Gault.
Recentemente sono state proposte altre formule che per calcolare la VFG impiegano solo parametri di laboratorio e non considerano ne’ il peso ne’ l’altezza del soggetto.
La stima della VFG permette di stratificare l’insufficienza
renale in 5 stadi: normale (>90 ml/min, Stadio 1), ridotta in
maniera lieve (90-60 ml/min, Stadio 2), moderata (60-30 ml/min,
Stadio 3), grave (30-15 ml/min, Stadio 4) o di insufficienza renale
terminale (<15 ml/min, Stadio 5). La riduzione del filtrato glomerulare
comporta un aumento del rischio cardiovascolare sia di per sé sia perché
potenzia l’impatto di altri fattori di rischio tradizionali (ipertensione,
ipertrofia miocardica, diabete, dislipidemia). Si parla di danno renale
cronico anche quando è presente da almeno tre mesi una anormalità
funzionale o strutturale del rene in un test di imaging (eco renale con doppler
vasi intraparenchimali).
Albuminuria
Il rilievo di un amumento dell’albuminuria, analogamente ad un rialzo dei
valori di creatinina, e’ un segno di danno d’ organo mediato dall’ipertensione.
E’ il parametro piu’ sensibile di alterazione della barriera di filtrazione ed
e’ definita come una escrezione di albumina nelle urine che eccede i limiti
normali ma che e’ inferiore ai limiti di sensibilita’ dei metodi di dosaggio
con stick tradizionali.
La ricerca può essere effettuata con tre procedure diverse
1. escrezione giornaliera totale misurata sulle urine delle 24 ore (costituisce il dato di riferimento). Il risultato e’ espresso in milligrammi di albumina sulle urine delle 24 ore (positivo se compreso tra 30 e 300 mg di albumina nelle 24 ore);
2. escrezione di albumina per minuto misurata su un campione di urine raccolto in un determinato intervallo temporale (di solito le urine della notte). Il risultato e’ positivo se e’ compreso tra 20 e 200 µg/min;
3. rapporto albumina/creatinina su un singolo campione di urine (spot). In questo caso il risultato viene espresso in milligrammi di albumina per grammo di creatinina urinaria ed e’ positivo per valori di microalbuminuria >22 mg/g nell’uomo e >31 mg/g nella donna (oppure >2,5 mg/mmole nell’uomo e >3,5 mg/mmole nella donna).
Deve essere tenuto presente che l’esercizio fisico entro le ultime 24 ore, la presenza di infezioni, febbre, insufficienza cardiaca, iperglicemia marcata, ipertensione grave, o di piuria e ematuria possono essere responsabili di un aumento dell’albumina al di sopra dei valori basali; anche il digiuno o non digiuno, l’introito di sodio e la volemia influenzano l’escrezione di albumina mentre il sesso e la massa muscolare possono influenzare l’escrezione di creatinina. Vi è inoltre una marcata variabilità giornaliera nell’escrezione di albumina (anche del 40-100%). Per questo e’ necessario dimostrare la presenza di microalbuminuria in almeno 2 di 3 misurazioni eseguite in un periodo di 3- 6 mesi prima di poter stabilire con certezza la presenza di albuminuria.
Esame completo delle urine
La presenza di proteinuria all’esame delle urine e’ un segno importante di compromissione renale ed e’ considerata una condizione clinica associata. Se la proteinuria e’ assente e’ poco probabile che l’ipertensione sia secondaria ad una causa renale parenchimale. L’ipertensione nefrovascolare puo’ invece presentarsi con un normale esame delle urine. Una leucocituria isolata puo’ essere l’unico reperto di una nefropatia interstiziale che puo’ avere una patogenesi su base infettiva (da ricercare con esami colturali delle urine), metabolica (gotta, calcolosi da ossalati, cause di ipercalcemia), o legata alla assunzione di farmaci (nefropatie da analgesisici). Se invece è presente ematuria associata a cilindri di tipo granuloso o eritrocitario la sede del danno è più probabilmente glomerulare.
Retinopatia ipertensiva
La retinopatia ipertensiva richiede l’esame del fondo oculare e può essere divisa secondo Keith (1939) in:
– stadio I: lieve restringimento arteriolare
– stadio II: comparsa dei segni di sclerosi
– stadio III: presenza di emorragie ed essudati
– stadio IV: presenza di papilledema
L’esame del fondo oculare fa parte dell’esame obiettivo ma ha un valore predittivo sia positivo che negativo della severità dell’ipertensione piuttosto basso, intorno al 60%. Questo è legato al fatto che le modificazioni dei gradi 1° e 2° sono rilevabili in alta frequenza anche nei soggetti normotesi di età maggiore di 50 anni. La presenza di una retinopatia di 1° e 2° grado non aiuta quindi nella stratificazione del rischio e non è più considerata indicativa di danno d’organo.
Solo le alterazioni retiniche di 3° e 4° grado si associano ad un aumento del rischio di eventi cardiovascolari, e rappresentano un segno di emergenza ipertensiva, nella quale è necessario ridurre rapidamente i valoti pressori
Vasculopatia cerebrale e malattia cerebro-vascolare
Il rilievo obiettivo di un soffio carotideo ha un elevato valore prognostico, in quanto indica un maggior rischio di infarto e morte cardiovascolare. La presenza di un soffio carotideo si associa nel 40% dei casi alla presenza di stenosi maggiore del 70% di una o più arterie coronarie, nel 46% dei casi alla presenza di una lieve-moderata aterosclerosi coronarica e solo nel 14% dei casi le arterie coronarie sono normali. L’esame ecografico doppler delle arterie carotidi con la misurazione dello spessore intima media e la rivelazione di placche aterosclerotiche ha ripetutamente dimostrato di predire sia lo stroke che l’infarto del miocardio. La relazione tra spessore intima media a livello della carotide e di eventi cardiovascolari è continua, ma è stato scelto il limite di 0,9 mm come indice di danno d’organo. La presenza di placche ateromasiche o di un ispessimento vasale all’eco vascolare arterioso (indice di spessore medio intimale carotideo, IMT > 0.9 mm) sono pertanto indice di danno d’organo mediato dall’ipertensione.
Un pregresso TIA e/o Stroke rappresentano condizioni cliniche associate e pongono il paziente in una fascia di rischio elevata o molto elevata.
La TC del cranio è utile nella valutazione globale del paziente con fattori di rischio per malattie cerebrovascolari e con storia di pregressi TIA e/o stroke. Nel caso di pazienti con un unico episodio di TIA o ictus la TC può documentare la presenza di una lesione, la natura ischemica di questa, la sede e l’estensione e la congruità con la presentazione clinica del paziente. In conclusione nei pazienti con storia di episodi di TIA e/o ictus la tomografia computerizzatata è indicata per quantificare il danno effettivo di perdita tissutale, sotto forma di lacune, infarti e atrofia cerebrale. La Risonanza Magnetica Nucleare (RMN) è superiore alla TC nel rilevare la presenza di infarti silenti, la maggior parte dei quali sono localizzati in sede sottocorticale (infarti lacunari).
Vasculopatia periferica
Il riscontro di un’arteriopatia periferica deve essere considerata come una condizione clinica associata. Per la ricerca della presenza di arteriopatia periferica il metodo più semplice e meno costoso è la valutazione dell‘indice caviglia/ braccia, che ha dimostrato inoltre di fornire importanti dati prognostici. Tale indice si rileva misurando la pressione sistolica ad entrambe le braccia e la pressione sistolica a livello dei polsi periferici pedidii e tibiali posteriori. Il valore normale deve essere un rapporto maggiore di 0,90. Un rapporto inferiore a 0,40 indica una ostruzione severa.
Lorenzo Ghiadoni
Centro di Riferimento Regionale della Toscana per l’Ipertensione Arteriosa
Medicina d’Urgenza Universitaria AOU Pisana e Università di Pisa
Andrea Ungar
Centro di Riferimento Regionale della Toscana per l’Ipertensione arteriosa dell’anziano
Geriatria e Terapia Intensiva Geriatrica, AOU Careggi e Università di Firenze
Riferimenti bibliografici:
Williams B, et al. 2018 ESH/ESC Guidelines for the management of arterial hypertension. Eur Heart J 2018; 39, 3021–3104