DONNE E PATOLOGIE CARDIOVASCOLARI: EPIDEMIOLOGIA E FATTORI DI RISCHIO SPECIFICI

Le malattie cardiovascolari rappresentano la principale causa di morte tra le donne, con un numero assoluto di morti superiore rispetto al sesso maschile, tuttavia il tasso di mortalità cardiovascolare “prematura” (prima dei 75 anni di età) è di gran lunga superiore negli uomini, dunque la mortalità cardiovascolare è maggiore nelle donne ma più tardiva. È stato ipotizzato, ma non dimostrato, che questo vantaggio biologico delle donne rispetto agli uomini sia almeno in parte dovuto a un effetto protettivo degli estrogeni sul sistema cardiocircolatorio, eppure le terapie ormonali in post-menopausa non hanno finora dimostrato efficacia nel ridurre la progressione né dell’aterosclerosi né degli eventi vascolari. 

Il vantaggio relativo di salute nel caso delle donne è però attenuato da un tasso di mortalità dovuta ad attacchi coronarici che supera quello maschile (32% vs. 27%). Vi sono importanti differenze nelle varie patologie cardiovascolari, ad esempio le manifestazioni della cardiopatia coronarica differiscono tra i sessi, è più probabile che l’infarto miocardico non sia riconosciuto nelle donne rispetto agli uomini (34% vs. 27%), e più frequentemente nelle donne l’angina pectoris non è complicata (80%), mentre negli uomini l’angina tende a evolvere verso l’infarto (66%), e la morte improvvisa è più frequente negli uomini rispetto alle donne (50 % vs 39%).

Differenze di genere nelle patologie aritmiche

Roberta Brambilla
U.O.S Elettrofisiologia, Dipartimento Cardiovascolare, ASST Lecco

È noto da molti anni che le differenze di genere nelle proprietà elettrofisiologiche cardiache cellulari rivestono un ruolo fondamentale nella espressione clinica della patologia aritmica. Questa diversità si esprime in una differenza in termini di epidemiologia, patofisiologia, presentazione clinica e outcome delle diverse tipologie di aritmia nei due sessi. Questo riveste un’importanza fondamentale in termini di rilevanza clinica e prevalenza in particolare nella fibrillazione atriale, nelle aritmie ventricolari e nella morte improvvisa aritmica. Conoscere e comprendere queste differenze ha un impatto fondamentale nella diagnosi precoce e nell’accesso alle terapie migliorando l’outcome clinico. La maggior parte degli studi clinici eseguiti sinora, in particolare per quanto concerne la terapia elettrica delle aritmie, comprende un numero contenuto di soggetti femminili, e le conoscenze attuali sulle reali differenze del substrato aritmico nella donna e nell’uomo sono ancora limitate. E’ auspicabile che una maggior comprensione dei meccanismi che sottendono al rischio aritmico porti in futuro ad una terapia più personalizzata («tailored») e quindi specifica per ciascun genere («gender-specific»).

Nel sesso femminile troviamo una prevalenza di tachicardia atriale e tachicardia da rientro nodale (percepita come accessi di batticuore molto rapido e regolare ad insorgenza e interruzione improvvisa). Queste aritmie sono più sintomatiche nella donna ed è descritta una correlazione tra le recidive aritmiche e il ciclo ovarico. Per quanto concerne la fibrillazione atriale, vi è fondamentalmente un diverso approccio diagnostico e terapeutico con maggiore morbilità e complicanze legate alla terapia interventistica nella donna.

Queste evidenze hanno favorito, nella pratica clinica, un approccio terapeutico più conservativo nella donna rispetto all’uomo. La fibrillazione atriale (FA) e il flutter atriale (FLA) sono le aritmie più comuni nella pratica clinica con le maggiori implicazioni dal punto di vista della salute e della spesa pubblica. L’incidenza di FA (1000 persone/anno) è tra l’1,6 e il 2,7 nella donna e tra il 3,8 e il 4,7 nell’uomo. Nel Framingham Heart Study il rischio di sviluppare FA nel corso della vita è pari al 26% nell’uomo vs. 23% nella donna. L’incidenza e la prevalenza della FA sono in aumento sia nel sesso maschile che in quello femminile nelle ultime due decadi. L’atteggiamento terapeutico più conservativo e il minor accesso da parte delle pazienti di sesso femminile a strategie terapeutiche più «aggressive» si traduce in un aumento della mortalità totale FA-correlata in particolare nei Paesi in via di sviluppo. Un altro dato interessante è che sovente le donne sono più sintomatiche per FA, sperimentando più spesso rispetto all’uomo disturbi quali palpitazioni, sincope, dispnea, fatica e dolore toracico

Identikit della donna con fibrillazione atriale:

Management clinico:

La fibrillazione atriale è la aritmia più comune ed è responsabile del 25% di tutti gli stroke ischemici. La sua incidenza raddoppia per ogni decade di vita e, dopo i 75 anni, circa il 60% di casi è rappresentato da donne.

Differenze di genere nel tromboembolismo venoso

Adriana Visonà
Direttore UOC Angiologia- Azienda ULSS 2 Marca Trevigiana

Iltromboembolismo venoso (TEV) nella donna presenta alcune peculiarità. Tra ifattori di rischio acquisiti ve ne sono alcuni che sono legati al generefemminile: gravidanza, puerperio, contraccezione, terapiaormonale sostitutiva. Queste condizioni aumentano il rischio tromboembolicoanche in giovane età, quando il rischio di avere tromboembolismo venoso è moltobasso.

La terapia anticoagulante, qualunque essa sia, ha come obiettivo principale quello di ridurre le recidive, possibilmente con un basso rischio emorragico. La probabilità di recidiva di evento tromboembolico è minore nella donna, mentre si è osservato un aumentato rischio emorragico, legato forse a condizioni patologiche più frequenti nelle donne.

Per quanto attiene alle altre situazioni che caratterizzano il genere femminile, durante la gravidanza, tra i fattori che aumentano il rischio segnaliamo:

Tuttavia, il rapporto rischio beneficio non porta a consigliare uno screening di trombofilia a tutte le donne in gravidanza, senza storia o familiarità per TEV, dato che il rischio assoluto di TEV in gravidanza è comunque basso. Il puerperio rappresenta una condizione di rischio per tromboembolismo venoso ancora maggiore rispetto alla gravidanza.

L’utilizzo di contraccezione con estroprogestinici è il fattore di rischio per tromboembolismo più frequente nella donna in età fertile, ma dobbiamo ricordare che comunque, anche in questo caso, il rischio assoluto è basso. La terapia ormonale sostitutiva dovrebbe essere valutata caso per caso, considerando indicazioni, potenziali rischi tromboembolici e preferenze della paziente, includendo anche fattori di rischio aggiuntivi quali età, obesità, storia di precedenti episodi tromboembolici o di condizioni di trombofilia congenita. Un’altra condizione che potrebbe esporre la donna ad un aumentato rischio tromboembolico è la terapia ormonale per il tumore mammario.

Infine, vi sono trombosi venose localizzate in sedi non usuali che prediligono il genere femminile, quali le trombosi venose cerebrali che sono appannaggio di giovani, soprattutto donne nel 75% dei casi, con fattori di rischio genere-correlati (uso di contraccettivi, gravidanza).

Differenze di genere nell’anticoagulazione

Giulia Magnani
Dirigente Medico, U.O. Cardiologia, Azienda Ospedaliero Universitaria di Parma

La fibrillazione atriale è il maggior fattore di rischio modificabile di ictus, oltre che di malattia cardiovascolare e di mortalità nel genere femminile. La terapia anticoagulante è l’unica strategia valida per ridurre il rischio di stroke. Il sesso femminile è un fattore di rischio indipendente per stroke, malattia cardiovascolare e morte attribuibile a fibrillazione atriale. Nonostante l’elevato beneficio derivante dalla terapia anticoagulante soprattutto nelle donne, c’è una tendenza a un minor trattamento delle donne rispetto agli uomini. Invece, per quanto riguarda i NOA (Nuovi Anticoagulanti Orali), i dati derivanti dalla “vita reale” sembrano indicare che non vi sono differenze di prescrizione nei pazienti con fibrillazione atriale non valvolare di nuova diagnosi in entrambi i sessi. Sono noti fattori di rischio specifici di ictus per il sesso femminile, strettamente correlati agli effetti degli ormoni sessuali e all’assunzione degli estrogeni esogeni: gravidanza, contraccettivi, menopausa, post menopausa. Studi osservazionali degli anni ‘90 suggerivano un potenziale beneficio della terapia ormonale nella prevenzione delle malattie cerebrovascolari e nei disturbi cognitivi. Studi clinici randomizzati hanno, invece, dimostrato un incremento del rischio di ictus ischemico.

I pazienti con fibrillazione atriale, l’aritmia cardiaca più comune, presentano un rischio incrementato di stroke e necessitano di terapia anticoagulante orale. Il rischio di stroke nella fibrillazione è, tuttavia, eterogeneo tra uomo e donna; diversi studi hanno, infatti, dimostrato che le donne presentano -rispetto agli uomini- un rischio incrementato di stroke, anche durante il trattamento con antagonisti della vitamina K. Il sesso femminile è per questo integrato, come raccomandato dalle Linee Guida, nel principale score (punteggio) per la predizione del rischio tromboembolico nei pazienti con fibrillazione atriale. Le donne presentano, inoltre, anche un rischio di sanguinamento particolarmente elevato e l’utilizzo dei nuovi farmaci anticoagulanti orali, che rispetto agli antagonisti della vitamina K sono associati a una ridotta incidenza di emorragie intracraniche, si è dimostrato particolarmente sicuro e di beneficio nel sesso femminile. Comprendere le differenze di genere nell’anticoagulazione dei pazienti con fibrillazione atriale è, quindi, importante per stabilire le misure preventive da adottare a lungo termine e guidare la scelta del trattamento anticoagulante più efficace e sicuro. 

Terapia sostitutiva ormonale, menopausa e eventi cardiovascolari

Daniela Pavan
Direttore Dipartimento cardio cerebro-vascolare
Azienda per l’Assistenza Sanitaria n.5 “Friuli Occidentale” – Pordenone

L’incremento di rischio e le modalità di scatenamento degli eventi coronarici variano nelle donne nelle diverse fasi della vita. La minore incidenza di infarto nella donna durante la vita fertile è stata imputata all’effetto protettivo degli estrogeni. I meccanismi ipotizzati sono molteplici, a livello macrovascolare, microvascolare ed emocoagulativo. Studi epidemiologici hanno mostrato un’associazione significativa tra età menopausale e mortalità cardiovascolare. Il più suggestivo di questi studi ha osservato una riduzione del 2% della mortalità cardiovascolare per ogni anno di «ritardo» della menopausa. Una recente metanalisi ha evidenziato un eccesso del rischio di eventi cardiovascolari di circa il 50% nelle donne con menopausa in età inferiore ai 45 anni, con il 23% di eccesso di stroke, 9% di eccesso di rischio di mortalità cardiovascolare e 11% di eccesso di rischio di mortalità coronarica. Secondo altri studi, l’eccesso di rischio è evidente solo in donne con età di menopausa molto precoce. Una possibilità logica è che l’assetto ormonale fertile abbia un effetto protettivo nei confronti dei fattori di rischio cardiovascolari, quale ad esempio il diabete. Tuttavia, un’ipotesi alternativa supportata dai dati del Framingham Heart Study è che siano le donne con una peggiore costellazione di fattori di rischio cardiovascolare ad andare in menopausa precocemente. In questo caso, la menopausa precoce sarebbe un marker, e non la causa, di un maggiore rischio cardiovascolare in post-menopausa. E la terapia ormonale sostitutiva (HRT) potrebbe funzionare se iniziata precocemente. Uno studio ad hoc (ELITE) ha testato l’ipotesi che l’HRT iniziata «precocemente» possa essere più efficace dell’HRT iniziata «tardivamente» nel prevenire la progressione dell’aterosclerosi a livello carotideo e a livello coronarico. Lo studio ha mostrato un effetto significativo dell’HRT nel rallentare la progressione dell’aterosclerosi carotidea nelle donne trattate più precocemente ma nessun effetto a livello coronarico. Un altro studio recente condotto in Finlandia ha valutato il rischio di eventi cardiovascolari nell’anno successivo alla sospensione di HRT, osservando un aumento significativo del rischio di morte cardiaca e ictus. Anche questo dato depone a favore dell’ipotesi che l’eventuale effetto protettivo degli estrogeni (e dell’HRT in menopausa) possa essere connesso a fattori non legati alla progressione dell’aterosclerosi, ma piuttosto a meccanismi vasomotori e antiaritmici.

In conclusione, dopo quasi mezzo secolo di studi, non è ancora chiaro quanto la terapia ormonale sostitutiva (HRT) abbia un ruolo protettivo sulla malattia cardiovascolare: soprattutto le evidenze sono discordanti in merito a questa azione protettiva in funzione del tempo di inizio della terapia sostitutiva stessa.

Differenze di genere nella cardioncologia

Antonella Fava
Dir.Med. I liv. S.C. Cardiologia Universitaria
Azienda Osp. Univ. Città della Salute e della Scienza di Torino
Presidio Molinette

Le malattie di cuore sono la principale causa di morte nelle pazienti con cancro della mammella, al di sopra dei 50 anni. Tra i fattori di rischio peculiari per il genere femminile troviamo, infatti, la radioterapia e la chemioterapia per neoplasia della mammella: le radiazioni ionizzanti aumentano il rischio di Infarto Miocardico Acuto e la chemio è comunque cardiotossica.

Gli americani stimano, inoltre, che per molte persone sopravvissute al cancro (i “survivors” negli Usa sono un esercito di oltre 14 milioni di persone), il rischio di morire per cause cardiovascolari sia superiore al rischio di una recidiva di tumore. Un problema di proporzioni ragguardevoli, purtroppo ancora ampiamente sottovalutato. La rete Oncologica Piemontese si é organizzata per dare una risposta a questo problema contemplando sempre più un fitto collegamento tra Oncologi e Cardiologi.

La sicurezza a tavola

Sara Farnetti
Specialista in Medicina Interna con Ph.D in Fisiopatologia della Nutrizione e del Metabolismo

Vivere bene e a lungo e affrontare gli anni che passano in buone condizioni psico-fisiche è il sogno di tutti, ma se l’obiettivo della medicina classica è sempre stato di trovare cure più efficaci per le malattie, la medicina oggi deve operare una vera e propria rivoluzione predittiva, preventiva, personalizzata e funzionale perché invecchiare bene e in salute diventi sempre più un obiettivo raggiungibile. La Nutrizione Funzionale è un modo per guadagnare salute, invertendo i processi di invecchiamento in maniera personalizzata.

Il cibo giusto è il principale alleato per guarire, preservare la giovinezza cellulare, oltre che ritrovare la forma fisica ideale, grazie alla sua indiscussa azione antinfiammatoria. Ciò che arriva dentro di noi alimenta o meno la salute del nostro corpo e ad ogni pasto si realizza un Progetto Ormonale. Anche se tendiamo a ignorare gli effetti funzionali degli alimenti sui nostri organi, le sostanze contenute in quello che mangiamo e i giusti abbinamenti, equilibrano e attivano o inibiscono il metabolismo e dialogano con il nostro genoma. Possiamo scegliere un approccio medico di precisione, basato sullo studio clinico della persona e una nutrizione coerente con i propri geni, per rimuovere alla base le cause delle malattie. La salute umana non deve essere solo ripristinata, ma prima preservata. E’ necessario, allora, un approccio multidisciplinare dove la medicina tradizionale, la biologia, la chimica, la genetica dialoghino con la nutrizione per costruire un programma di longevità e salute.

La Redazione