L’importante ruolo dell’alimentazione nello sviluppo di malattie cardiovascolari venne compreso già nel 1747 quando James Lind, un chirurgo scozzese della Royal Navy, dimostrò l’effetto benefico degli agrumi per il trattamento dello scorbuto. La prima evidenza che l’alimentazione influenza l’insorgenza e la progressione della malattia CV è stata riscontrata nel 1908 da Alexander I. Ingatowski che dimostrò come l’eccessiva assunzione di colesterolo con la dieta determinasse lo sviluppo di aterosclerosi nei conigli. Da quel momento sono poi iniziati molti studi sul ruolo dei lipidi nell’insorgenza della malattia CV, alcuni dei quali hanno dimostrato il ruolo protettivo degli acidi grassi polinsaturi (Polyunsutered Fatty Acids – PUFAs) ω-3 e n-3. Nuove evidenze hanno dimostrato che i singoli nutrienti, ad eccezione di alcuni come i PUFAs ω-3 e il sodio, hanno un effetto limitato sulla prevenzione delle malattie croniche se confrontati con una dieta completa integrata. Malgrado lo straordinario progresso nel trattamento della malattia CV, le nostre conoscenze sugli effetti della dieta sul sistema CV sono ancora limitate.
Dieta Mediterranea
Il termine è stato coniato dal dottor Ancel Keys, un biologo e fisiologo statunitense che dedicò tutta la sua vita professionale a studiare i modelli alimentari in relazione con la salute delle persone, in particolare sull’influenza dello stile alimentare sull’insorgenza delle malattie degenerative, in primis quelle cardiovascolari. La dieta mediterranea è un modello nutrizionale ispirato alle abitudini alimentari diffusi nei Paesi mediterranei nel secondo dopoguerra. Si basa sul consumo di pesce, grassi insaturi provenienti dall’olio di oliva, frutta fresca, verdure, cereali e legumi; è invece povera di carne rossa e di latticini. Essa è in grado di ridurre la morbilità e la mortalità cardiovascolare tanto da essere paragonabile all’aspirina, alle statine, agli antipertensivi e all’attività fisica nel ridurre il rischio CV totale. Il consumo di una dieta ricca di frutta, verdura, noci e grassi insaturi è infatti in grado di ridurre la pressione arteriosa, i lipidi sierici, la glicemia e la circonferenza vita e di aumentare la funzione endoteliale e quindi la biodisponibilità di NO. Il primo studio pilota che ha evidenziato la forte associazione tra aderenza alla dieta mediterranea e sopravvivenza globale nella popolazione anziana è stato condotto nel 1995 da Trichopoulou et al. Nel 2003 lo stesso Trichopolou pubblicò i risultati di uno dei più importanti studi effettuati sulla dieta mediterranea nella prevenzione primaria di CAD e CVD. In un ampio studio prospettico che coinvolgeva 22.043 soggetti arruolati nell’European Prospective Investigation into Cancer and nutrition (EPIC), una maggior aderenza alla dieta mediterranea era associata alla riduzione della mortalità da CAD e da cancro. Allo stesso tempo non è emersa nessuna associazione tra mortalità e i singoli alimenti considerati nella dieta, sottolineando come l’effetto globale che ha il regime alimentare è più importante di tutti gli effetti dei singoli nutrienti. Gli stessi risultati sono stati ottenuti successivamente in studi prospettici con coorte più ampia. Malgrado ciò, le principali Linee Guida di cardiologia non raccomandano ancora la dieta mediterranea a causa della mancanza di dati provenienti da studi clinici controllati randomizzati. Le Linee Guida ESC del 2012 per la prevenzione della malattia CV, infatti, raccomandano di seguire una “dieta sana” ricca di frutta, verdura e pesce non menzionando però la dieta mediterranea. Recentemente lo studio PREvención con DIetaMediterránea (PREDIMED) ha portato evidenze più forti a supporto della dieta mediterranea nella prevenzione primaria della CVD. In questo studio una popolazione di spagnoli non cardiopatici ad alto rischio CV sono stati assegnati in modo casuale a tre gruppi di studio: dieta mediterranea integrata con olio extra-vergine di oliva, dieta mediterranea integrata con noci, dieta di controllo. Dopo un follow-up di circa 5 anni si è visto che l’incidenza di eventi CV acuti era diminuita del 30% nei due gruppi che seguivano la dieta mediterranea. La mortalità totale non è però diminuita negli stessi gruppi. Quindi, anche se con alcune limitazioni, questo studio ha rafforzato le evidenze in favore della raccomandazione della dieta mediterranea nella prevenzione primaria della malattia CV.
Dieta DASH
Negli anni Novanta la prevalenza dell’IA ha raggiunto le proporzioni di un’epidemia nella popolazione americana. Osservando che i vegetariani avevano valori pressori minori rispetto ai non-vegetariani, Lawrence Appel et al. studiarono l’effetto di una dieta ricca di frutta, verdura e latticini poveri di grassi sulla pressione arteriosa nello studio Dietary Approach to Stop Hypertension (DASH). Vennero arruolati 459 adulti con PAS <160 mmHg e PAD tra 80 e 95 mmHg non in terapia antipertensiva. I partecipanti vennero poi assegnati in modo casuale al gruppo con dieta di controllo oppure al gruppo con dieta ricca di frutta, verdura e prodotti caseari magri oppure al gruppo con dieta “mista”, la dieta DASH, ricca di frutta, verdura e prodotti caseari magri e povera di grassi saturi e di cibi con zuccheri aggiunti. Dopo 8 settimane è stata evidenziata una riduzione della PAS di 2.8 mmHg e della PAD di 1.1 mmHg nel gruppo frutta-e-verdura, mentre nel gruppo misto la riduzione della PAS era di 5.5 mmHg e della PAD di più di 3 mmHg. Altri studi hanno dimostrato che la dieta DASH è in grado anche di ridurre il colesterolo totale e LDL, l’infiammazione e la progressione del danno d’organo.
Diete vegetariane
Negli ultimi decenni, la crescente evidenza del rapporto tra consumo di prodotti animali e il rischio di malattie croniche ha determinato un maggiore interesse per le diete vegetariane. Il numero di persone che ha cominciato a seguire un profilo alimentare caratterizzato dall’assenza di carne animale, intesa come carne e pesce, è cresciuto costantemente, soprattutto nei Paesi occidentali. Le diete vegetariane sono quindi caratterizzate dall’utilizzo di cereali, legumi, verdura e frutta e, per coloro che ne fanno uso, anche di latte, latticini e uova. Esistono infatti vari tipi di vegetarismo che si differenziano per il grado di esclusione di cibi di origine animale; le più importanti sono la dieta latto-ovo-vegetariana, la dieta latto-vegetariana e la dieta vegana. Queste diete, come anche la dieta mediterranea, sono ricche di acidi grassi monoinsaturi, fibre e antiossidanti e povere invece di grassi saturi. Tuttavia, ad oggi non sono disponibili studi che valutino l’effetto di entrambe le diete nello stesso gruppo di soggetti in tempi diversi. Il confronto tra dieta vegetariana e mediterranea in termini di prevenzione dei rischi CV sarebbe di rilevante importanza clinica per la popolazione generale. Studi epidemiologici hanno dimostrato che i vegetariani presentano una minore incidenza di infarto miocardico fatale se confrontato con gli onnivori. Una recente metanalisi di sette studi prospettici di coorte ha dimostrato che i soggetti che seguivano una dieta vegetariana presentavano una mortalità da IMA e da malattia cerebrovascolare ridotto rispettivamente del 29% e del 12%. Gli stessi risultati si sono ottenuti in molti altri studi. Tra la popolazione vegetariana il rischio di infarto miocardico fatale cambia anche in base all’età: gli Odds Ratio (OR) a <65 anni, 65-79 anni e 80-89 anni sono rispettivamente di 0.55, 0.69 e 0.92. Una sottoanalisi degli stessi autori ha dimostrato inoltre che la mortalità da IMA, rispetto agli onnivori, era ridotta del 34% nei latto-ovo-vegetariani, del 26% nei vegani, del 34% nei pesce-vegetariani e del 20% nei soggetti che consumano carne occasionalmente. Una recente metanalisi ha evidenziato che i soggetti che seguivano una dieta vegetariana avevano una significativa riduzione del BMI, della glicemia e dei livelli sierici di trigliceridi, colesterolo totale e LDL. L’effetto benefico della dieta vegetariana e vegana sul colesterolo totale e LDL è dovuto sia alla ridotta assunzione di grassi, sia al consumo di noti alimenti ipocolesterolemizzanti quali la soia, i legumi, le noci e gli oli vegetali. Allo stesso tempo, il BMI inferiore è collegato alla dieta a basso contenuto energetico che spesso assumono questi soggetti.Tutti questi fattori sono in grado di ridurre il rischio di CVD e diabete e potrebbero spiegare il minor rischio di IMA fatale. Inoltre, spesso i vegetariani seguono uno stile di vita corretto astenendosi dal fumo e dall’alcol. Tuttavia, i vegetariani, e in particolare quelli che assumono una stretta dieta vegana, possono presentare un’inadeguata assunzione di importanti sostanze nutritive come il ferro, lo zinco, la vitamina B12 e gli n-3 PUFA. La vitamina B12 è essenziale per la sintesi cellulare e il mantenimento del sistema nervoso; questa vitamina però non è contenuta negli alimenti di origine vegetale mentre i frutti di mare, la carne e le uova ne sono ricchi. Una ridotta assunzione di n-3 PUFA nei vegetariani è associata ad un aumento dei valori di omocisteinemia con conseguente aumento dell’aggregazione piastrinica. Inoltre, è stato riscontrato un aumento del volume piastrinico medio nei soggetti che seguono una dieta vegana e anche questo può portare ad una maggiore attivazione piastrinica, con conseguente trombogenesi. Studi caso-controllo hanno infatti evidenziato che il volume piastrinico medio aumentato è un fattore di rischio indipendente per IMA e per ischemia cerebrale acuta e/o cronica. Sono stati poi condotti studi per valutare la correlazione tra dieta vegetariana e cancro. Una metanalisi di sette studi prospettici ha evidenziato che i soggetti che seguono una dieta vegetariana presentano una riduzione dell’incidenza di cancro del 18% rispetto agli onnivori. In uno studio in cui sono stati arruolati 61.566 inglesi è risultato che il rischio relativo (RR) di cancro era di 0.82 nei pesce-vegetariani e di 0.88 nei vegetariani e in particolare il RR di cancro dello stomaco era di 0.29 nei pesce-vegetariani e 0.36 nei vegetariani, il RR di cancro dell’ovaio era di 0.37 nei pesce-vegetariani e 0.69 nei vegetariani, il RR di cancro della vescica era di 0.81 nei pesce-vegetariani e 0.47 nei vegetariani. Probabilmente questa correlazione tra dieta vegetariana e cancro può essere spiegata dall’esclusione della carne dalla dieta, considerando la relazione tra la carne stessa e il cancro. È stato infatti evidenziato da una recente metanalisi che un’eccessiva assunzione di carne è associata ad una maggiore incidenza di cancro del colon-retto. Un’associazione più convincente è stata osservata tra assunzione di carne rossa processata e cancro e in particolare quello del colon-retto, dell’esofago, dello stomaco e della vescica. Un’eccessiva assunzione di carne rossa porta infatti all’assunzione diretta o alla generazione endogena di una vasta gamma di sostanze cancerogene quali le amine eterocicliche, gli idrocarburi policiclici aromatici, i composti N-nitroso, gli acidi grassi polinsaturi omega-3 e l’eme; le carni processate contengono in media il 50% di nitrati in più rispetto alla carne non processata, spiegando così i dati riscontrati. Una recente review ha evidenziato una riduzione della mortalità globale nei vegetariani rispetto ai non-vegetariani del 9%. Gli stessi risultati sono stati trovati in altri studi. L’EPIC-Oxford study e altri studi prospettici hanno invece dimostrato che la mortalità nei vegetariani era simile agli onnivori. Concludendo, l’incidenza di cancro e la mortalità per ischemia miocardica sono significativamente diminuite nei soggetti che assumono una dieta vegetariana, ma non c’è associazione tra dieta vegetariana e mortalità globale e mortalità per patologie vascolari e cerebrovascolari.
Varietà nella dieta
La varietà nella dieta viene definita come il numero di alimenti diversi consumati in un determinato periodo ed è universalmente riconosciuta come una caratteristica fondamentale di una dieta sana. Questo perché nessun alimento contiene tutti i nutrienti necessari e perché in questo modo si riduce l’introito di alcuni nutrienti come i grassi, gli zuccheri raffinati e il sale. Per la valutazione della varietà nella dieta esistono molti indici alimentari tra i quali il Diet Diversity Score (DDS). È stato dimostrata la correlazione tra varietà nella dieta e morbilità e mortalità. Uno studio iraniano, ad esempio, ha evidenziato la correlazione inversa tra DDS e alcuni fattori di rischio CV come l’ipertensione arteriosa, l’ipercolesterolemia e il diabete. Lo stesso risultato è stato ottenuto da molti altri studi che hanno dimostrato come i soggetti che seguono una dieta varia abbiano una minore probabilità di andare incontro a diabete. È stato infatti evidenziato che il rischio di sviluppare diabete mellito di tipo 2 diminuisce dell’8% ogni volta che si aggiungono due porzioni alla settimana di frutta o verdura e che assumendo 12 diversi tipi di frutta e verdura alla settimana questo diminuisce del 39%; nei soggetti che consumano grandi quantità di latticini, soprattutto yogurt, il rischio diminuisce invece del 15-28%. Inoltre, si è visto che la varietà nella dieta riduce il rischio di CAD fatale e non fatale e la mortalità globale. Molti altri studi sulla DDS si sono focalizzati sulla sua correlazione inversa con il cancro del colon-retto, della vescica e del polmone. Si è visto inoltre che i soggetti che presentano un’alta varietà della dieta mantengono anche uno stile di vita più sano consumando maggiori quantità di frutta, verdura e fibre e minori quantità di cibi grassi; probabilmente è questo il meccanismo che sta alla base dell’associazione tra DDS e morbilità-mortalità.
Prof. Andrea Ungar
Geriatra e Cardiologo. Responsabile Centro Ipertensione Geriatra-UTIG (AOU Careggi)
Centro di Riferimento Regionale della Toscana per l’Ipertensione Arteriosa dell’anziano