Giornata Mondiale dell’Ipertensione Arteriosa: 17 ottobre 2020

Misurate la pressione arteriosa, tenetela sotto controllo e vivrete più a lungo

La Giornata Mondiale dell’Ipertensione Arteriosa si celebra ogni anno, dal 2005, il 17 maggio. Quest’anno, a seguito della pandemia di COVID-19, a maggio non è stato possibile celebrarla ed è stata, quindi, posposta al 17 ottobre. La Società Italiana dell’Ipertensione Arteriosa (SIIA) appoggia dalla prima edizione questa iniziativa, promuovendo l’apertura dei Centri e degli ambulatori affiliati alla SIIA, gli incontri con gli esperti e le iniziative per stili di vita salutari. Anche quest’anno, quindi, la SIIA affianca la World Hypertension League per una giornata che sarà necessariamente condizionata dalle misure anti-covid che ciascun centro metterà in essere, in base alle disposizioni di ciascuna amministrazione. Ci sarà, comunque, l’occasione per ribadire alcune nozioni che riguardano l’ipertensione arteriosa.

Che cos’è l’ipertensione arteriosa?
Ancora oggi, nell’accezione comune si accosta l’ipertensione ad una eccessiva reattività agli stress emotivi, per cui persone particolarmente agitate o nervose si autodefiniscono “ipertese”. In realtà, per ipertensione arteriosa si considera un disturbo cardiovascolare che si associa con il rilievo di valori di pressione arteriosa a riposo superiori a soglie di riferimento che vengono convenzionalmente definite da Linee Guida internazionali. Attualmente, si considera iperteso il paziente che, in un ambulatorio medico, presenta costantemente valori di pressione arteriosa superiori a 140/90 mmHg. Se, invece, il paziente si misura la pressione a casa, da solo, il valore di riferimento scende a 130/80 mmHg. In passato, queste soglie erano sostanzialmente più elevate, raggiungendo valori di tolleranza fino a 160/100 mmHg. Molte altre cose abbiamo creduto vere in passato: ad esempio, l’esperienza comune che con l’età la pressione sistolica aumenta, aveva partorito l’assioma che il valore di riferimento si modificasse con l’età, e che quindi andasse calcolato aggiungendo all’età anagrafica un valore di 100, per ottenere il riferimento giusto per l’età. In base a questo calcolo, un uomo di 70 anni poteva considerarsi normoteso quandanche avesse avuto valori di pressione sistolica pari a 170 mmHg. Oggi, l’evidenza scientifica ci ha permesso di definire che i valori di pressione arteriosa più bassi tollerati dal paziente sono quelli che garantiscono una vita più lunga e di migliore qualità. È, quindi, verosimile che in futuro i valori di riferimento possano essere riconsiderati ulteriormente al ribasso.

Perché curare l’ipertensione arteriosa?
“The Stealth Killer” (Il killer invisibile e furtivo) è la definizione che diede dell’ipertensione arteriosa la prestigiosa rivista “TIME” il 6 dicembre 2004, quando dedicò a questa condizione la copertina del numero in edicola. Questo appellativo così roboante deriva dall’evidenza che i pazienti ipertesi muoiono più precocemente dei pazienti non ipertesi. Inoltre, si ammalano di patologie cardiovascolari, tra cui l’infarto e lo scompenso cardiaco ma anche l’ictus. Inoltre, la causa principale che conduce a dialisi è proprio l’ipertensione arteriosa. Tutto questo aumento di rischio, però, non si associa con sintomatologie specifiche e, spesso, i pazienti ipertesi sono ignari della loro condizione fino a quando non scoprono di esserlo a valle di un evento particolare causato da un rialzo repentino e critico dei valori di pressione che spesso si accompagnano con malessere aspecifico, cefalea, dolore toracico o sintomi neurologici. In occasione di una simile crisi, il paziente si rivolge al Pronto Soccorso dove viene fatta finalmente la diagnosi. L’assenza di sintomi tra una crisi e l’altra è talmente comune che, addirittura, i pazienti ipertesi iniziano a lamentare altri sintomi paradossalmente dopo avere iniziato terapia specifica con normalizzazione dei valori di pressione arteriosa. Questa sintomatologia, tuttavia, è limitata ad un periodo transitorio, e quando l’organismo trova un nuovo equilibrio funzionale a valori pressori più bassi, la sintomatologia scompare. La storia naturale dell’ipertensione arteriosa si sviluppa, quindi, in decenni, seguendo un continuum cardiovascolare che passa attraverso la determinazione di un rimaneggiamento strutturale di alcuni organi bersaglio (in particolare il cuore, i vasi arteriosi, il cervello e il rene) fino alla perdita di funzione di questi organi.

Che succede agli organi bersaglio?
Il cuore, il rene, i vasi e il cervello rispondono all’eccessivo carico tensivo vascolare con delle risposte ipertrofiche mediate da fenomeni infiammatori. Il cuore, in particolare, si ispessisce, come fanno tutti i muscoli che sono sottoposti ad un esercizio continuo. Tuttavia, questo ispessimento risulta essere deleterio a lungo andare per il muscolo cardiaco, costringendo il cuore a lavorare in condizioni sfavorevoli, in particolare in occasione di sforzi o di stress emotivi. Analogamente, anche la parete vascolare si ispessisce e si infiltra di cellule infiammatorie che favoriscono lo sviluppo di lesioni arteriosclerotiche, le cosiddette PLACCHE. Queste, a loro volta, possono essere responsabili delle manifestazione cardiache quali l’infarto e l’angina, o cerebrali quali ad esempio TIA e ICTUS. Processi analoghi avvengono a carico del rene, che perde le proprie unità funzionali, i nefroni, per lasciare spazio a cellule infiammatorie e fibroblasti, e destinandosi alla insufficienza renale cronica. Anche a livello cerebrale si assiste ad un danno evolutivo, che passa attraverso il deficit cognitivo per arrivare alla demenza.

Chi deve preoccuparsi di essere iperteso?
Si stima che nel mondo occidentale circa 1/3 della popolazione è ipertesa, con una prevalenza che aumenta con l’età, arrivando a interessare circa il 70% della popolazione sopra i 65 anni. L’ipertensione, inoltre, ha una maggiore distribuzione tra i maschi, soprattutto quando guardiamo la fascia di popolazione sotto i 50 anni. Nella maggioranza dei casi, l’ipertensione arteriosa ha una trasmissione familiare. Bambini che hanno un genitore iperteso hanno il 50% di possibilità in più di diventare ipertesi nella vita adulta, rispetto a bambini che sono nati da genitori normotesi. Se un bambino ha entrambi i genitori ipertesi, è quasi certo di diventare iperteso indurante la vita adulta. Alcune caratteristiche dell’ipertensione sono presenti già prima della fase conclamata della patologia. Per esempio, i figli adolescenti di genitori ipertesi durante un test da sforzo sviluppano valori di pressione arteriosa all’acme più elevati rispetto ai figli dei genitori non ipertesi. L’ipertensione, inoltre, si associa agli stili di vita meno salubri. La sedentarietà è stata associata allo sviluppo di ipertensione arteriosa, ed è esperienza comune che i figli di genitori ipertesi, se si sottopongono a regimi di allenamento abituali, sviluppano ipertensione arteriosa più tardivamente rispetto ai fratelli sedentari. Analogamente, il sovrappeso o l’obesità favoriscono lo sviluppo di ipertensione arteriosa, a riprova della stretta relazione tra metabolismo e ipertensione arteriosa. Tale connubio è ulteriormente dimostrato dalla associazione tra ipertensione arteriosa e diabete mellito. Infatti, se nella popolazione generale occidentale si stima che circa l’8% svilupperà diabete, tra i pazienti ipertesi tale stima sale al 25%. Anche altre cattive abitudini quale il fumo di sigaretta, l’aggiunta del sale da tavola per condire le pietanze già salate, l’assunzione di molti insaccati e formaggi stagionati (ricchi in sodio) a discapito di verdure e frutta (alimenti ricchi in potassio), l’assunzione abitudinaria di superalcolici, favoriscono l’insorgenza di ipertensione.

Come ci si controlla la pressione arteriosa?
Il proprio medico curante rimane il primo punto di riferimento per la misurazione della pressione e l’eventuale diagnosi di ipertensione. Tuttavia, la diffusione degli apparecchi semi automatici, che si basano su algoritmi oscillometrici, ha aumentato di fatto la possibilità di controllare la pressione anche presso le farmacie o a casa. Bisogna, tuttavia, seguire alcune regole, per evitare di arrivare a conclusioni affrettate o fare scelte poco avvedute: la misurazione della pressione, anche a domicilio, rimane un atto sanitario con informazioni importantissime, a cui dedicare un po’ di attenzione:

  1. Prendersi un po’ di tempo per misurare la pressione arteriosa, meglio se al primo mattino o alla sera, lontano dagli stress quotidiani. Scegliere apparecchi semiautomatici che siano stati validati
  2. Montare un bracciale adeguato per dimensioni, posizionato come indicato dalle istruzioni sull’avambraccio nudo, mentre si sta seduti da almeno 5 minuti
  3. Rilevare la pressione una prima volta, annotare il valore, aspettare un minuto e ripetere la misurazione: se il valore si discosta molto dal precedente, procedere anche ad una terza ed eventualmente quarta misurazione, fino a quando il valore è costante. Quello sarà il valore della pressione da riferire al medico.
  4. Se i valori di pressione arteriosa a casa sono costantemente superiori a 135/85, bisogna parlare con il proprio medico curante, per decidere come procedere.

Cosa fare se si è già ipertesi?
Correggere sicuramente gli stili di vita: fare attività fisica, dimagrire con una dieta bilanciata, smettere di bere alcolici e di fumare. Ancora una volta, è fondamentale avere fiducia del proprio medico curante: infatti, non basta curare i valori di pressione arteriosa ma, considerando il livello di danno già arrecato dall’ipertensione agli organi interni, scegliere i trattamenti più adeguati. Una volta iniziato un regime terapeutico, non sospenderlo mai senza un consiglio del medico. Infatti, la sospensione arbitraria e incontrollata dei farmaci è la causa più frequente di accesso al Pronto Soccorso per eventi associati a crisi ipertensive. Assicurarsi che a casa, durante la terapia, i valori di pressione arteriosa siano sotto controllo, ovvero che non superino i 135/85 mmHg. Sarà, inoltre, importante correggere anche gli altri fattori di rischio che spesso si associano all’ipertensione, accelerando la progressione del danno d’organo verso l’insufficienza: diabete, ipercolesterolemia, le dislipidemie in generale sono sicuramente i primi fattori di rischio da considerare.

Ipertensione e COVID-19
La patologia da coronavirus chiamata COVID-19 ha segnato i primi mesi del 2020 nel nostro paese in maniera indelebile. Molti di noi, in quel periodo, hanno perso parenti e amici, a volte in maniera repentina e inspiegabile. Le notizie che hanno circolato hanno messo in seria crisi i pazienti con ipertensione arteriosa, in quanto sui giornali apparivano notizie nefaste di pazienti affetti da COVID deceduti perché ipertesi e perché in trattamento con specifici farmaci antipertensivi. La SIIA ha reagito a tale cattiva informazione con gli strumenti che le sono più consoni, imbastendo una ricerca scientifica che ha permesso di raccogliere i dati dei centri affiliati. Alla fine, in poco tempo, da marzo a maggio, 72 ricercatori in 26 centri sparsi in tutta Italia, hanno messo insieme i dati di oltre 2.500 pazienti affetti da COVID-19. Con questo database, abbiamo potuto ristabilire una serie di verità scientifiche:

  1. Non è vero che gli ipertesi si ammalano più gravemente di COVID-19: infatti, la prevalenza dell’ipertensione arteriosa, nelle varie fasce di età dei pazienti ricoverati, era simile a quella rilevata nelle Giornate Mondiali dell’Ipertensione Arteriosa dal 2015 al 2018. La percezione che si ammalassero prevalentemente gli ipertesi derivava dall’età media avanzata dei pazienti ricoverati che, quindi, presentavano una maggiore incidenza di patologia ipertensiva
  2. Non è vero che i pazienti in trattamento con ACE inibitori e Sartani si ammalavano più facilmente degli altri. Infatti, nella nostra casistica, così come quella in molte altre in Italia e all’estero, la percezione che questi farmaci fossero più frequentemente presenti nelle terapie domiciliari di coloro che si ricoveravano dipendeva dal fatto che questi farmaci sono quelli che la maggioranza dei pazienti ipertesi assume.
  3. È vero che l’età giovanile permetteva una più facile guarigione. Infatti, molti giovani non sono neanche stati trattati in ospedale, ma direttamente nei loro domicili
  4. Infine, è vero che le donne sono state più resistenti degli uomini al COVID-19. Si ammalavano di meno (solo un terzo dei pazienti ricoverati era di sesso femminile) e in età più tarda (l’età media delle donne era circa 7 anni maggiore degli uomini).

Buona giornata mondiale dell’Ipertensione Arteriosa e ricordate:
“Misurate la pressione arteriosa, tenetela sotto controllo e vivrete più a lungo”

Guido Iaccarino
Professore Ordinario di Medicina Interna
Università Federico II di Napoli