Dopo una sindrome coronarica acuta meglio avere qualche chilo in più. Diminuisce il rischio di mortalità, sanguinamento, ischemia refrattaria e insufficienza cardiaca

I pazienti sottopeso e di peso normale presentato un aumento del rischio di mortalità, sanguinamento, ischemia refrattaria e insufficienza cardiaca rispetto a quelli con un indice di massa corporea (BMI) più elevato dopo una sindrome coronarica acuta (SCA). Sono le conclusioni dei ricercatori coordinati da Pablo Lamelas della McMaster University di Hamilton, Canada. Dal momento che non è nota la correlazione tra indice di massa corporea (BMI) ei principali eventi clinici dopo una SCA i ricercatori hanno valutato, mediante una meta-analisi, l’impatto del BMI sugli eventi clinici più importanti dopo una SCA. Sono stati inclusi dati su 81.553 pazienti provenienti da 45 paesi con SCA arruolati in 8 grandi studi clinici randomizzati, con un follow up medio di 171 giorni. L’età media era 63,4 ± 11,7 anni, il 70% era maschio e il BMI medio era 27,3 ± 4,7 kg/m2. Rispetto ai soggetti normopeso (BMI 21,75-24,9 kg/m2, categoria di riferimento), gli individui sottopeso (<18,5 kg/m2) avevano un rischio maggiore di morte. Entrambe le sottocategorie di pazienti in sovrappeso, BMI 25 a 27,5 kg/m2 e BMI 27,5 – 29,9 kg/m2 e gli obesi di I grado (BMI 30 – 34,9) avevano una mortalità significativamente inferiore. Gli obesi di II e III grado non erano significativamente associati con un incremento/diminuzione della mortalità. La mortalità era minima con un BMI di 30,9 kg/m2. Rispetto ai pazienti con peso normale, le categorie sovrappeso e obese sono state correlate con un rischio significativamente più basso di sanguinamento e di ischemia refrattaria. I pazienti in sovrappeso hanno presentato un rischio minore di infarto miocardico, di riospedalizzazione e di morte per insufficienza cardiaca. Non sono state riscontrate associazioni tra BMI e rivascolarizzazione miocardica o ictus.