Diabete di tipo 2 in età giovanile: non è uno scherzo

Essere giovani, questa volta, non aiuta. Anzi, fa correre più velocemente verso le emergenze e, di conseguenza, desta allarme. Il riferimento è al diabete di tipo 2 e alla sua sempre più frequente comparsa in età giovanile. Mancano al riguardo stime ufficiali italiane, ma sulla base di dati provenienti dagli Usa, è possibile dire che negli ultimi dieci anni la popolazione dei giovani alle prese con questa patologia è raddoppiata, arrivando a interessare circa 150 mila soggetti. Un fenomeno talmente in crescita da far prevedere, sempre secondo alcune proiezioni statunitensi, un aumento annuale del 2,3% negli under 30 dal 2010 ad oggi. Ma c’è di più: gli esperti prevedono che il numero di giovani con diabete di tipo 2 sia destinato a quadruplicare negli Usa tra il 2010 e il 2050. Si tratta di numeri che marcano una distanza sia qualitativa che quantitativa con quelli relativi agli adulti. Ad avvicinare le due età (siamo in presenza di una forma tipica dei padri o addirittura dei nonni di questi giovani ) sono i principali fattori di rischio predisponenti, quali l’obesità, la storia familiare e lo stile di vita sedentario; ad allontanarle è il livello di aggressività della malattia. Lo rende esplicito il titolo di una particolare sezione scientifica dedicata a questo problema di emergente gravità, programmata in occasione del 55° congresso annuale dell’European Association for the Study of Diabetes (EASD) svoltosi nel settembre 2019 a Barcellona. “Perché il diabete tipo 2 in età adolescenziale è una malattia più aggressiva?” si sono chiesti gli esperti con quel titolo. L’insorgenza del diabete in giovane età – viene spiegato – è associata ad una più lunga esposizione alla malattia e ad un aumentato rischio di complicanze croniche, sia macro che micro-vascolari, legate ad un periodo maggiore di essere esposti ad elevati livelli di glicemia. Inoltre, ci sono sempre più prove che il diabete di tipo 2 a esordio giovanile abbia un fenotipo patologico più aggressivo, che porta allo sviluppo prematuro di complicanze, con effetti negativi sulla qualità della vita e effetti sfavorevoli sugli esiti a lungo termine. Questi pazienti presentano una grave resistenza all’insulina e vanno incontro ad un progressivo deterioramento della funzione delle cellule beta pancreatiche; complicanza, questa, maggiore rispetto ai pazienti adulti e con tassi di fallimento terapeutico significativamente più alti. Si apprende inoltre che ad essere numericamente più colpiti sono gli individui in età lavorativa, venendo così ad accentuare gli effetti sociali avversi della malattia. Le opzioni terapeutiche per questa condizione sono fortemente ridotte e gli studi disponibili ancora pochi. Per gli adolescenti la metformina rimane la terapia di prima linea (sebbene la maggior parte vada rapidamente verso l’insuccesso del trattamento), insieme al ricorso all’insulina. Tutte queste misure devono però essere accompagnate da una modifica di importanza capitale: quella dello stile di vita. Ciò rimanda ad un forte impegno per la prevenzione dell’obesità che non ricade solo sui medici, ma inizia dalla famiglia, dalla scuola, dai responsabili delle politiche sanitarie, e chiama in causa varie componenti della società, inclusa l’industria alimentare. Esiste quindi un motivo in più per prevenire l’obesità nelle età anche più precoci: arrestare l’aumento del numero di giovani e adolescenti con diabete di tipo 2.